In occasione della ristampa di “Achille il puntino” abbiamo voluto intervistare l’autrice Guia Risari per parlare di questo titolo, fra i primi ad essere pubblicati nella collana Libri per Sognare.
- Perché una storia archetipica risuona nel cuore dei bambini? Cosa offre ancora una storia con un protagonista-eroe ai bambini?
- Una storia archetipica utilizza simboli, situazioni, parole, esseri che popolano l’immaginario di tutti, fin dai primi anni. Sono cose semplici, ma complesse in grado di provocare reazioni forti e stratificate. Un esperimento in questo senso fu fatto negli anni Settanta dallo psicologo Piaget e dall’illustratore Delessert con un gruppo di bambini che frequentarono lo studio di Piaget per alcuni mesi. Si notò allora che certi elementi ricorrevano nell’immaginario dei bambini. In particolare, degli oggetti della natura – il sole, i fiori, l’erba, le nuvole – e degli animali, nei quali i bambini forse si riconoscevano, forse si proiettavano o che provocavano in loro reazioni immediate. Nacque così quel piccolo capolavoro della letteratura per l’infanzia che è Come il topo piglia un sasso sulla testa e scopre il mondo (1971). Qui il protagonista è un topino che ha sempre vissuto nella sua tana, ignorando il resto. Ma un giorno un sasso gli cade in testa e il topo decide che è ora di esplorare il mondo. Prepara il suo zainetto – che è vuoto perché il topo non ha niente e non conosce niente – e parte. Intorno a lui è un’esplosione di colori, forme, sensazioni. Il cielo si anima, il sole, le nuvole, le stelle. I fiori e gli insetti gli vanno incontro. L’intero universo insomma è vivo e il topo, via via che il suo cammino procede, riempie il suo zainetto di cose, di pezzi di natura, di ricordi, di colori. Torna sì alla sua tana, ma non è più lo stesso, non vive più nel timore di tutto: sorride ed è pieno di nuove esperienze.
Achille è un eroe per bambini perché, come loro, vive l’esperienza di essere solo, disarmato, incompleto, all’oscuro di tutto. Ma è curioso e aperto e questo è quel che gli consente di scoprire, prima di tutto se stesso e poi il mondo. Di fronte al gravoso compito di crescere e conoscere, Achille non ha un modello di comportamento da seguire, ha solo la sua intuizione, i suoi sensi che si sviluppano progressivamente e persino parti del corpo che spuntano alla bisogna. Insomma, Achille nasce, cambia, cresce in relazione all’ambiente esterno, in dialogo continuo con le cose. Ed è guidato dal desiderio. Come il bambino.
- La storia l’hai molto letta ai bambini degli asili nido e anche della scuola dell’infanzia, quindi “Achille” è stato concepito per essere letto ad alta voce?
- Tutta la letteratura, per me, deve essere letta ad alta voce e a maggior ragione le storie per bambini. Non è solo una questione di piacere del suono, della lingua, ma anche di origini. Ogni parola scritta è figlia di quella orale e ogni storia si presta a sua volta a essere raccontata. L’udito è attivamente coinvolto nel processo della narrazione. Anche il suono quindi deve partecipare a questo processo e facilitare la memorizzazione.
Quale è la reazione dei bambini davanti ai collage di Mark Taeger?
- I bambini reagiscono con grande entusiasmo di fronte ai collage stilizzati, a volte quasi astratti, di Mark Taeger. Prima di tutto, perché sono forme semplici e imperfette che loro vogliono e possono subito riprodurre. Poi perché, diversamente da quello che sostengono alcuni, il segno grafico non dev’essere per forza riconoscibile, naturalistico o realistico. Il bambino interpreta certe forme, certi segni “strani” con più elasticità di quanto gli si attribuisca e non ha paura di non riconoscere immediatamente qualcosa e dover tirare a indovinare.
- Perché la scelta di un Achille che si genera a se stesso?
- In effetti, Achille è un personaggio autonomo. Assistiamo alla sua nascita che avviene in un foglio bianco. E questo svincola Achille da un rapporto privilegiato con dei genitori che gli spianano la strada nel processo di crescita. Anche per questo i bambini e gli adulti amano Achille, perché fa da sé, perché è un po’ come il primo essere sulla terra, che ha dovuto inventarsi e capire tutto senza indizi. È una situazione ideale per svilupparsi.
- La costruzione della propria identità nella prima infanzia va vissuta come una avventura coraggiosa … Quanto coraggio trasmettiamo o consentiamo di trasmettere ai nostri bambini in questo momento storico?
- Il rischio più grande, oggi, credo che sia presentare la realtà come un dato di fatto indiscusso e indiscutibile e avviare i bambini verso un’unica strada, la sola che si considera percorribile. Quel che è straordinario dell’infanzia, almeno dell’infanzia ideale, è l’apertura e la meraviglia, la molteplicità di risposte possibili, di vie aperte, di esperienze, di sensazioni. Ci vuole coraggio non solo per crescere, ma, soprattutto, una volta cresciuti, per non sclerotizzarsi in una parte. Sono convinta che, quando si hanno dei figli, il coraggio si debba manifestare anche attraverso il dubbio, la riscoperta, l’azzeramento di alcune certezze, la capacità di farsi sorprendere, di gustare il nuovo, di assaporare ogni piacere. È l’esempio del coraggio che trasmette il coraggio; non le paure, le raccomandazioni, i pregiudizi, le morali.