Digressione

“Achille il puntino”e il bambino alla scoperta di sé. Parla l’autrice Guia Risari

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In una scuola  di San Giovanni in Persiceto “Achille il puntino” è stato scelto come libro ponte del passaggio dal nido alla materna. Un’esperienza di crescita che il bambino può rivivere attraverso la storia universale del puntino Achille all’avventura della scoperta di se stesso nel mondo. 

La forza del testo di Guia Risari e delle immagini di Marc Taeger si rivela tutta nella  capacità di lasciare spazio all’ interiorità del bambino che si specchia trovando un posto per il  proprio vissuto. Ci sono libri che sono lì pronti a parlarci e a ascoltarci. Aspettano solo di essere scelti, proposti. Come hanno fatto in questa scuola.

Per l’occasione  l’autrice ci ha raccontato com’è nato Achille nel suo percorso di scrittrice e giornalista. 

Achille il puntino è stato pubblicato agli albori di Kalandraka Italia nel 2008. Ma continua a essere richiesto ed è molto amato da quelli che lo conoscono. Ce ne vuoi parlare? 

 Achille il puntino è in effetti una storia che è nata nel 2004, in un momento in cui ero letteralmente in preda alla febbre della letteratura dell’infanzia, una malattia molto pericolosa e pressoché incurabile. Leggevo tantissimi libri per bambini e pensavo quasi esclusivamente in termini favolistici. Questa storia mi è venuta in mente osservando lo schizzo di un’amica illustratrice, Camilla Cazzaniga, che aveva creato un personaggio molto diverso, un omino filiforme con una tuta da sci addosso che diceva “Fa freddo”. Ero a Canzo, un paesino del triangolo lariano che amo molto e che ha su di me un effetto benefico. Le finestre sulle montagne, gli alberi, l’aria profumata di neve (anche quando non nevica). Così mi è letteralmente “emerso” Achille, tanto che l’ho dettato ad alta voce al mio compagno. In quel momento, non solo vedevo la storia che si svolgeva davanti ai miei occhi, ma il testo con le sue pause, le virgole, gli a capo e potevo tornare indietro nel testo a memoria, come se stessi leggendo.

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 È stato quindi piuttosto rapido scrivere Achille.

  Scrivere per me è sempre un processo rapido. Quello che è lungo, anzi incalcolabile, è il tempo d’immagazzinamento delle storie, delle esperienze, delle idee e sensazioni che precedono la composizione. Poi c’è il tempo che io chiamo di sedimentazione, in cui il testo riposa e deposita tutte le sostanze estranee e il tempo di revisione in cui ci si riavvicina al testo con mente fresca e distaccata, come se si leggesse il testo di un altro. L’ideale è non ricordarsi neanche più la storia. Allora si possono eliminare gli elementi inutili, lavorare sul linguaggio, spostare le scene, calibrare i personaggiAQUILEDEFINITIVO-5.jpg-GRANDE-3

Questo è un metodo che segui sempre?

 In principio sì. Questo però non significa che si debba scombussolare sempre tutto il testo, perché a volte una storia nasce compiuta. Questo è stato, ad esempio, il caso di Achille. Credo che dipenda dalla quantità e qualità dell’ispirazione, ovvero da quanti e quali elementi hanno nutrito direttamente o indirettamente la storia e se tali elementi sono per noi essenziali. Achille è una storia di formazione, di nascita, di incontri, di sviluppo. È una storia archetipica che ripercorre la nascita di ognuno di noi, che siamo piccolo puntino all’inizio e persona autonoma alla fine. In questo senso, è una storia che mi tocca profondamente e che tocca tutti i sensi.

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 Non a caso ha avuto un gran successo tra i bambini delle materne. So che Achille il puntino è  consigliato da Nati per leggere e in alcune scuole, come quelle di San Giovanni in Persiceto, è diventato libro ponte tra nido e materne.

  Sì, perché la storia è essenziale – un puntino in mezzo a un foglio bianco che si colora e si sviluppa – ma l’avventura è importante e coinvolge la vista, la parola, l’olfatto, l’udito, il tatto. E l’immaginazione e la speranza, che sono sempre importanti. Il linguaggio è semplice, ma non banale. Trovo sia un grave errore parlare ai bambini una lingua eccessivamente facile, caricaturale di serie B. Ai bambini va offerto il meglio, le metafore più poetiche, le descrizioni più belle. E le immagini di Marc Taeger, stilizzate ma avvolgenti, hanno il pregio di non cadere nel figurativo più banale. Sono collage semplici, a volte anche astratti, e risultano molto stimolanti per i bambini. Per esempio, i risguardi all’inizio del libro rappresentano tanti puntini bianchi su fondo azzurro; quelli alla fine mostrano puntini di tutti i colori su fondo bianco. È un tema che apre al confronto sulla diversità: siamo sì puntini tutti uguali, ma ognuno col suo colore e la sua forma. E questo i bambini lo colgono subito.

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Dopo Kalandraka, che lo ha pubblicato in Spagna, Portogallo e Italia il libro è arrivato in Corea. Come spieghi questo viaggio?

 Parte del mio metodo di revisione consiste nel tradurre un testo in altre lingue. Se il testo resiste, significa che ha qualcosa da dire. Achille l’ho tradotto in francese, inglese e castigliano e l’ho proposto alle case editrici che mi parevano più valide. Kalandraka mi ha risposto subito e ha capito cosa conteneva la storia. Considerando le reazioni dei miei piccoli e grandi lettori, direi che aveva ragione. Achille, o meglio Aquiles, ha ispirato canzoni e piccoli spettacoli in Spagna, America Latina e un’enorme quantità di lavoro e disegni in Italia.

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 Che tipo di lavoro?

 Achille il puntino si presta a diventare una storia vissuta col corpo e coi sensi. Gli insegnanti più attivi e anche io, quando vado nelle scuole, lavorano proprio sullo sviluppo corporeo del bambino, sulle sensazioni, sulla motricità, sui suoni, sulla lateralità. Ma, dal momento che è una storia aperta e ad Achille mancano ancora un sacco di cose, i bambini possono essere stimolati a immaginare gli incontri di Achille e la sua ulteriore crescita. Così, ho avuto bambini che hanno fatto spuntare i capelli, le sopracciglia, la pancia e il sedere di Achille. Bambini che gli hanno fatto incontrare Achilla, un cane, una scimmia, una città e persino che l’hanno messo su una motocicletta.

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 Che cosa auguri ad Achille il puntino?

Che possa continuare la sua strada nel mondo, magari arrivando in paesi nei quali non è stato tradotto, ma anche che trovi la strada per il palcoscenico perché ultimamente ho avuto un bellissimo incontro con teatro per bambini. Parlo della compagnia Teatro Gioco Vita di Piacenza per la quale ho scritto “La pietra e il bambino”. E questo mi ha fatto scoprire e apprezzare la potenza del lavoro congiunto di regia, scena, recitazione, ombre, luci, musica e scrittura. Il testo in teatro non solo si anima, letteralmente si trasforma in vita, vibra. E in fondo è questo che cerco, anzi inseguo, con la mia scrittura.

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